Riporto qui una lettura di Andrea Sinigaglia sul mese di novembre. In particolare Sinigaglia ci parla del primo novembre, festa di tutti i Santi, del due novembre, festa dei morti (o commemorazione dei defunti), e dell’11 novembre, festa di San Martino.
Si tratta di un testo che amo proporre ai miei studenti, proprio in prossimità del il primo di novembre. Questa oltre a quella, più famosa, di Andrea Camilleri.
Andrea Sinigallia, erede di Gualtiero Marchesi, è la più bella sintesi tra la migliore figura di chef e il profondo umanista che io abbia incontrato. Con lui, cultura artistica e cultura culinaria si esaltano a vicenda. Spero un giorno di poterlo avere ospite nella mia scuola.
Il primo novembre
Il 1° novembre è lo spartiacque tra un anno agricolo e l’altro. Finita la stagione dei frutti, la terra, che ha accolto i semi del frumento destinati a rinascere in primavera, entra nel periodo del letargo. “Per l’Ognissanti siano i grani seminati e i frutti rincasati” dice un altro proverbio.
Il due novembre
Il giorno successivo la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti, secondo un’usanza che si riscontra in ogni tradizione e non ha mai avuto, se non nell’occidente moderno, carattere funebre o triste.
Per la festa si confezionano in tutta Europa dolci di pane in forma di teschi e scheletri. A significare che dai morti, dai semi sotterrati, rinasce la vita, ovvero i morti ci “nutrono”. In Italia questo tipo di dolci si chiama “ossa dei morti”, specialmente diffusi in Sicilia, Umbria e Sardegna [ossa e mottu a Catania].
L’undici novembre
“Per San Martino ogni mosto è vino” è invece il proverbio che dice come, nella festa del Santo di Tours, che cade risaputamente l’11 novembre, sia pronto il primo vino.
Un eccezionale scultura di Benedetto Antelami, compresa nel ciclo dei mesi del battistero di Parma, raffigura il mese di novembre come un uomo che raccoglie le rape.
Questa immagine è veramente interessante. Essa ci introduce a un altro pilastro della nostra civiltà alimentare, ovvero l’uso di cibi alternativi al pane e a lui consimili in forma, colore, modi di assunzione.
È la rapa che, essendo uno dei pochi frutti dell’inverno, e arrivando in abbondanza, è tradizionalmente il prodotto su cui esercitare la creatività e la fantasia.
Possiamo definirlo l’antenato gastronomico della patata e solo indicando questo parallelo ci rendiamo conto di quali e quanti usi poteva ricoprire in cucina. Capiamo però anche un’altra cosa. Forse più importante. Ovvero il perché un frutto così umile e in disavanzo, potesse essere celebrato in tal maniera per il suo servizio, da essere rappresentato scolpito su di una chiesa.
La capacità di valorizzare ciò che è avanzo, e ciò che invece è superfluo, hanno la medesima radice, ovvero lo sguardo a quella realtà come un dono che non può essere sprecato né dimenticato.
Andrea Sinigaglia, in Avanzi D’Autore, a tavola con gusto.e senza sprechi. Ruo Bercherà, Massobrio, Comunica, 2013