I leoni di Sicilia – Stefania Auci – citazioni

I Leoni di Sicilia, il romanzo di Stefania Auci da cui traggo le citazioni che seguono, è un romazo che ho letto nel 2022. Un libro che mi ha coinvolto molto. Non solo per il ritratto vivido che Stefania Auci offre della mia amata Sicilia, o per la mia passione per la sua storia del XIX secolo. E neanche per il fascino delle sfide che i Florio hanno dovuto affrontare e per il loro coraggio imprenditoriale.

No, In questo articolo, voglio condividere con voi alcune citazioni che sono risuonate molto dentro di me, che spiegano alcune delle cose in cui credo, una concezione particolare dell’amore, del matrimonio, della gratuità. E ringraziando Stefania Auci per averle scritte, spero non me ne voglia per averle riportate. Del resto, estrapolate cosi, non saranno che un invito a leggere integralmente i Leoni di Sicilia.

Come sempre, la mia raccolta di citazioni in questo blog nasce innanzi tutto dalla mia esigenza di prendere appunti sulle frasi memorabili dei libri che leggo. E in questo ne ho trovate diverse. In questo articolo esploro le frasi più significative da “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci, sull’amore, la famiglia e la vita.

I leoni di Sicilia - Stefania Auci Stefania  citazioni

Citazioni memorabili da “I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci

Amore, Amori.

Ho raccolto qui le citazioni di alcune scene in cui Stefania Auci, autrice di “I leoni di Sicilia”, spiega che l’amore ha tanti nomi e tante forme.

L’amore non concesso, ma altrettanto puro, passionale, eterno e tenace, tra Giuseppina e il cognato Ignazio. I due si amavano da ragazzi. Di un amore mai dichiarato. Ma lei era stata data in sposa dal padre al fratello di Ignazio, Paolo. Ignazio e Giuseppina si sosterranno reciprocamente, e per tutta la vita, attraverso la forza di quell’amore.
L’amore di Paolo per Giuseppina, un amore che non sa ascoltare, che dà ciò che è amore solo per sé.
L’amore di Ignazio per Vincenzo, figlio non del seme ma dell’anima.

E poi ci sarà l’amore di reciproco di Giulia e Vincenzo. Ma per quello, vi rimando al libro.

«Ignazio ha imparato a prenderla a pietrate, perché non ha diritto di farla uscire».

Ignazio sospira. Quei due sono come acqua e olio: possono stare nella stessa ciotola, ma non si mescoleranno mai.
Lei abbassa la voce. Lo tocca, gli stringe il palmo. «Non vo a chi chiedere. Qui ancora non ho confidenza con nessuno e non voglio raccontare i fatti miei a un estraneo. Almeno tu, aiutami.»
In silenzio, Ignazio riflette. No, si dice. Dovrebbe rivolgersi a uno scrivano. Non vuol sapere perché Giuseppina ha quell’espressione infelice, o perché Paolo provi ad avvicinarla pur sapendo che verrà respinto.
Ma tanto è inutile: li vede ogni giorno e li ascolta, anche se non litigano ad alta voce. Perché certe cose si sentono con l’anima e con l’istinto. E lui, che vuole bene a entrambi, si trova in mezzo.
È allora che lui, il fratello mite, quello generoso e gentile, sente venir fuori un serpentello che sta nascosto, una biscia velenosa. Ignazio ha imparato a prenderla a pietrate, perché non ha diritto di farla uscire. Non può dire a Paolo cosa deve fare con sua moglie.
Giuseppina ora quasi gli parla addosso. « Ti prego.»
Ignazio sa che non deve mettersi in mezzo. Dovrebbe andarsene, dirle di parlare di nuovo con Paolo.
È allora che si rende conto di aver intrecciato le dita con le sue.
Si stacca di colpo, parla dandole le spalle. « Va bbonu. Ora vattinni.
» p.47

«Dovrebbe parlarle. Ascoltarla. Non è questo essere sposati?


Alla fine, Giuseppina tace.
Paolo si avvicina alla moglie, le stringe la spalla. « Domattina farò partire la lettera», le dice. Le accarezza i capelli. Una carezza lunghissima, fatta di rimpianto, tenerezza e paura.
Apre la bocca per parlare, ma non lo fa. Lascia la stanza sotto gli occhi disorientati della moglie.
E invece dovrebbe farlo, pensa Ignazio.
Dovrebbe parlarle. Ascoltarla. Non è questo essere sposati? Non è portare la fatica dell’esistenza insieme?
Non è quello che farebbe lui? p.49

In questa scena, Ignazio Florio osserva con acuta sensibilità la dinamica del matrimonio tra suo fratello Paolo e Giuseppina. La frase evidenziata manifesta la consapevolezza di Ignazio riguardo alla sofferenza silenziosa di Giuseppina e alla necessità di una comunicazione più profonda all’interno del matrimonio. Stefania Auci, attraverso lo sguardo di Ignazio, sottolinea l’importanza del dialogo e dell’ascolto attivo all’interno di una relazione di coppia. Il gesto di Paolo, apparentemente affettuoso, ma in realtà carico di rimpianti e paure, mette in luce la complessità dei sentimenti umani e le difficoltà che spesso si incontrano nel comunicare le proprie emozioni. Questa scena ci invita a riflettere sul significato del matrimonio e sull’importanza di coltivare un rapporto basato sull’ascolto, l’empatia e la comprensione reciproca.

«Esistono amori che non portano questo nome»

« Buonanotte», dice lui, e il suo fiato le solletica i capelli. Lei sente qualcosa nel petto che si rimescola, l’eco di un ricordo mai vissuto, di una vita che non ha mai nemmeno avuto il coraggio di sognare. E, mentre Giuseppina si protende in avanti, lui distoglie il viso e si allontana.
Vincenzo osserva quella scena senza capire cosa stia accadendo. Forse hanno avuto una discussione, pensa. Oppure sua madre si è risentita per qualcosa che lo zio avrà detto. Chissà…
Li ha visti sempre insieme, quei due, e non si è mai fatto domande. Sono stati – e sono – la sua famiglia, lo hanno fatto crescere ciascuno a suo modo, com’è giusto che sia nell’ordine delle cose.
Ma quella sera, per la prima volta, lui ha la sensazione che non sia così. In un modo confuso, ma inequivocabile, intuisce che quelle due persone non sono distinte, ma sono una coppia. E che gli hanno costruito intorno una famiglia, rinunciando – forse – a se stesse.
Perché si amano di un sentimento che non ha nulla a che fare con il matrimonio, ma non per questo è meno forte, meno tenace. Anche se c’è un fantasma che li divide: quello di suo padre, Paolo.

E allora capisce che esistono amori che non portano questo nome, ma che sono altrettanto forti, altrettanto degni di essere vissuti, per quanto dolorosi. p. 123

In questo passaggio, Vincenzo Florio, il giovane protagonista de “I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci, osserva la relazione tra suo zio Ignazio e sua madre, un amore passionale e profondo ma mai consumato. La frase “Perché si amano di un sentimento che non ha nulla a che fare con il matrimonio, ma non per questo è meno forte, meno tenace” evidenzia la complessità e la profondità di questo legame. L’amore vero, ce lo insegnava già Dante, può rimanere non carnale, anche nel desiderio, e non valere una scintilla di meno dell’amore che si consuma. È quello che insegna ad amare.

Figli dell’anima


Vincenzo non è figlio suo solo perché non è suo il seme che lo ha generato. Per il resto, gli ha dato l’anima. E uno a un figlio vorrebbe risparmiare sofferenze e delusioni, pure sapendo che l’aiuteranno a crescere, diventare più forte e scaltro, a farisi crisciri i’ scagghiuni o a «farsi venire su i denti», come dicono i vecchi palermitani.
Lo guarda e si sente stringere il cuore. Vorrebbe togliergli il dolore di dosso, ma non è possibile. É una legge dell’esistenza, uguale a quella che regola il ciclo dei giorni e delle stagioni: ciascuno porta su di sé il marchio della propria sofferenza. pp.182-183

Nella citazione di questo intenso dialogo interiore, Ignazio Florio, uno dei protagonisti de “I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci, riflette profondamente sul suo ruolo di padre nei confronti di Vincenzo. La frase “Vincenzo non è figlio suo solo perché non è suo il seme che lo ha generato. Per il resto, gli ha dato l’anima” esprime un concetto di paternità che va oltre il mero legame biologico. L’amore e l’educazione, secondo Ignazio, sono i veri pilastri di un rapporto padre-figlio.

L’autrice sottolinea, inoltre, il paradosso dell’educazione: da un lato, si desidera proteggere i propri figli dalla sofferenza, dall’altro si è consapevoli che le esperienze difficili sono necessarie per la crescita e la maturazione. L’espressione “farsi crisciri i’ scagghiuni” (farsi venire su i denti), tipica del dialetto palermitano, sottolinea l’importanza della resilienza e della capacità di affrontare le avversità. Questo passaggio ci invita a riflettere sul complesso rapporto tra genitori e figli, sull’eredità familiare e sul significato profondo della crescita personale.

«Noi li chiamiamo ricordi, ma […]sono ancore per una vita che se ne va»

Arrivano alla camera. La cassa del corredo è la corriola portata da Bagnara, la bacinella con la brocca è ancora quella degli anni di matrimonio con Paolo. Sulla parete, un crocifisso di corallo. Sul bordo del letto, uno scialle: un altro dei ricordi d’infanzia di Vincenzo.
«Ce l’avete ancora?» esclama lui prendendolo in mano. È più piccolo e molto più liso di quanto ricordasse.
«Di certe cose, non sono riuscita a privarmene, nonostante i soldi che tu e… tuo zio avete portato a questa casa. Quando si diventa vecchi, si vuole rallentare il tempo, ma il tempo non si ferma. E allora ti tieni strette le cose. Se loro ci sono, tu ci sei ancora. Non la vedi, non la vuoi vedere, la vita che sgocciola via.» Giuseppina si siede sulla sponda del letto, stringe l’indumento al petto. C’è un rimpianto che le causa una stretta allo stomaco. « Noi li chiamiamo ricordi, ma siamo bugiardi», continua con un filo di voce. «Cose come questo scialle o il tuo anello» – indica la fede di oro battuto appartenuta a Ignazio – «sono ancore per una vita che se ne va, »

In questo intenso scambio, l’autrice fa riflettere Giuseppina sul profondo legame che gli oggetti possono avere con la nostra identità e il nostro passato. Lo scialle, un semplice indumento, diventa un’ancora per Giuseppina, un ponte tra il presente e un passato amato. La frase “Cose come questo scialle o il tuo anello sono ancore per una vita che se ne va” è particolarmente risuonate. I gioielli, e gli anelli in particolare, molto spesso hanno un valore più simbolico affettivo che estetico. Lo sappiamo tutti. Attraverso questi oggetti, cerchiamo di tenere vicino ciò a cui essi ci legano nell’interiorità. Questo passaggio getta una luce di senso meravigliosa sul valore degli oggetti che ci circondano e sul ruolo che essi giocano nella costruzione della nostra identità e delle relazioni, ma anche della permanenza e della memoria


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