Di tante poesie sulla guerra che sto rileggendo (Wislawa Szymborska, “La fine e l’inizio” Bertolt Brecht, “La guerra che verrà”), nessuna come Veglia del nostro Giuseppe Ungaretti sa dire insieme l’orrore per la morte degli innocenti, inutile, e il desiderio di bellezza, di amore, di vita. Che i potenti di Brecht e le telecamere di Szymborska capiscano che quello che solo vale: amare
Segue una piccola antologia di poesia sulla guerra di Ungaretti, Dikinson, Quasimodo, Szymborska, Brecht
- Ungaretti – Veglia
- Brecht – La guerra che verrà
- Brecht – Generale
- Szymborska La fine e l’inizio
- Dickinson – E caddero come fiocchi di neve
- Quasimodo – Alle fronde dei salici
- Rodari – Promemoria
- Rodari – Dopo la pioggia
Giuseppe Ungaretti: “Veglia”
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Nessuna guerra è mai condotta nell’interesse ultimo del popolo. Perchè
Bertolt Brecht, “La guerra che verrà”
La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame
la povera gente egualmente.
Bertolt Brecht, “Generale“
Una poesia sul potere del restare uomini
Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.
(Traduzione di Roberto Fertonani, in Bertolt Brecht Opere, Mondadori, Milano 1970)
Wislawa Szymborska “La fine e l’inizio”
Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.
C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.
Non e’ fotogenico
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia’ partite
per un’altra guerra.
Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C’è chi con la scopa in mano
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto
gli gireranno intorno altri
che ne saranno annoiati.
C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.
Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
Emily Dickinson, “E caddero come fiocchi di neve”
Caddero come Fiocchi di neve –
Come Stelle –
Come i Petali di una Rosa –
Attraversati di Giugno
Dalle dita di un Vento improvviso –
Morirono nell’Erba Intatta
E non c’è occhio capace di trovare il punto –
Ma Dio può richiamare a sé ogni volto
Con il suo Elenco – Irrevocabile.
They dropped like Flakes –
They dropped like Stars –
Like Petals from a Rose –
When suddenly across the June
A Wind with fingers – goes –
They perished in the seamless Grass –
No eye could find the place –
But God can summon every face
On his Repealless – List.
Salvatore Quasimodo, “Alle fronde dei salici”
E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Giovanni Rodàri – “Promemoria”
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
Giovanni Rodàri – “Dopo la pioggia”
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.