“Da un padre a un figlio il racconto della vita di Giovanni Falcone”, ovvero: la mafia spiegata ai bambini
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“Per questo mi chiamo Giovanni”, di Luigi Garlando, da cui traggo le citazioni che seguono, è uno di quei libri per bambini che anche tutti gli adulti dovrebbero aver letto. È un libro sulla storia di Giovanni Falcone, e sulla storia della mafia nell’ultima parte del novecento. Semplice, scorrevole, veloce, permette di capire cosa sia stato e cosa possa continuare ad essere il fenomeno mafia.
Mi ho voluto vedere coi miei occhi, a Palermo, i luoghi raccontati da Garlando. Mi ha fatto venir voglia di ricercare. Sul sito della fondazione Falcone ho letto gli atti e le sentenze del MaxiProcesso, un evento da libri di storia che, come tutti le storie importanti, nonostante le giornate della memoria, rischia di essere dimenticato dai “duemila”.
Le giornate della memoria – tutte purtroppo – per la tendenza di certi gesti e rituali a diventare automatismi ripetitivi, a scuola hanno come esito dichiarazioni di noia da parte dei ragazzi. Questo non avviene, però, quando a parlare è un testimone, o quando il racconto di un evento del passato ha un impatto sul presente, come succede in questo libro.
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“Per questo mi chiamo Giovanni” – la storia
Aiutare i più piccoli a trovare il coraggio di esporsi e smettere di subire vessazioni e atti di bullismo è qualcosa che ci è chiesto spesso. Invitarli a leggere o , meglio , leggere per loro: “Per questo mi chiamo Giovanni” di Luigi Garlando, da cui riporto per i lettori di questa pagina le citazioni che seguono, è un modo Uno dei tanti. Che però sarà utile anche per spiegare con parole semplici, quale mostro subdolo sia la mafia o che cosa sia un atteggiamento mafioso.
Al piccolo Giovanni, protagonista , il padre insegna a ad essere degno del proprio nome, raccontandogliene la storia. Giovanni è un bambino delle elementari. Quando un compagno di classe, Simone, per essersi opposto alle estorsioni del bullo della classe, viene fatto cadere giù dalle scale, nessuno dei suoi compagni, reagisce e racconta quanto ha visto. Neppure Giovanni. Tutti accettano, subiscono e temono le prepotenze del bulletto di classe, che a sua volta ha appreso dalla famiglia il suo modo di relazionarsi. Così il padre il papà decide di raccontare le ragioni per cui ha scelto di chiamarlo Giovanni.
Ho scoperto che mio nipote, in quinta elementare, lo sta leggendo a scuola. E che la sua maestra lo fa leggere alle classi quinte tutti gli anni. Dedico queste citazioni soprattutto alle maestre e agli educatori, perché se è vero che, come diceva Gesualdo Bufalino «…la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari…» (fonte cfr. “L’amaro miele”, Einaudi 1982), loro hanno un compito eroico, come quello di Giovanni. Come diceva Rocco Chinnici: nelle scuole si può combattere fin da piccoli, anzi le battaglie più importanti si vincono proprio a quell’età (p. 133)
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Indice delle citazioni
- Il potere dell’educazione delle mamme
- Gli uomini non piangono: l’educazione delle madri siciliane
- Sul resistere ai bulli
- L’incontro con il mostro
- Le due leggi contrapposte
- L’etimologia della parola “Mafia”
- L’assuefazione alle ingiustizie
- La cosca
- Il rituale, e il neo-adepto che brucia il santino
- Giuseppe Di Matteo
- Bestie che uccidono per fame di potere
- L’omertà
- Rocco Chinnici e la scuola
- Il mostro benefattore
- L’Amore per Francesca
- Mafia e politica
- Buscetta e il crollo del muro dell’omertà
- La mafia e il suicidio
- La lingua della mafia
- Un mostro con tante teste
- Le condanne al Maxi Processo
- Speranza
- Da lontano si prende meglio la mira
- La bellezza, “l’attentatuni” e la collina del maiale
- Un uomo normale
- Appendice – etimologia della parola “Mafia” da Traina 1868
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“La colomba non è il simbolo della pace?”. “Bravo.” “Giovanni è venuto al mondo con i pugni chiusi come un pugile e gli è entrato dalla finestra il simbolo della pace. Questa è la cosa strana, papà.” “Non è strano. La pace non arriva mai in volo per conto suo, bisogna sempre conquistarla e difenderla, a volte anche con la forza.” p.16
Chiesi a papà di parlarmi dei genitori di Giovanni. Volevo cominciare a conoscere quel bambino sconosciuto che doveva accompagnarmi verso il mistero di Bum. Se devi fare un tratto di strada con qualcuno, è giusto sapere chi è. p. 17
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Il potere dell’educazione delle mamme
La mamma faceva a Giovanni molte prediche sul dovere e sui sacrifici, perchè era molto religiosa e perchè in famiglia aveva avuto veri e propri eroi. p.17
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Gli uomini non piangono
Questo insegnamento genitoriale in Sicilia va ancora di moda, come del resto la frase speculare “le donne di mamma non piangono”. Come tutto, dipende dal modo in cui lo si dice. Non è discriminare, è se è fatto per confortare, senza disprezzare poi effettivamente i sentimenti che emergono, è in qualche modo educare al coraggio.
Una volta a Sferracavallo, mentre giuocava in giardino cadde su una pietra e si ferì il ginocchio, tanto che fu necessario portarlo dal medico: nessuno si era accorto di niente, perché Giovanni non aveva urlato e non si era messo a piangere. Anche il dottore restò meravigliato del suo controllo. Sapeva che quella ferita, durante le cure, doveva dargli molto dolore. Ma Giovanni restava di ghiaccio. La mamma spiegò al medico: “Gli uomini non piangono, mio figlio l’ho educato così da piccolissimo“. p. 19
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Sul resistere ai bulli
Sinceramente non riuscivo proprio a immaginarmi che reagivo a tipi come Tonio col coltellino in tasca… forse perchè io ho uno zio gelataio, uno geometra, uno disoccupato, ma nessun eroe di guerra in famiglia. p. 20
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L’incontro con il mostro
A Trapani, Giovanni incontrò per la prima volta il nemico che avrebbe combattuto per tutta la vita. Un mostro feroce, spietato, quasi impossibile da battere perchè enorme e senza volto. p. 32
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Le due leggi contrapposte
Mettiamo invece che tu non vada dalla maestra, ma, spaventato dal coltellino di Tonio, gli dia i tuoi cinque euro. E tutti i tuoi compagni di classe fanno lo stesso. Tutti, tranne uno che chiamiamo Simone, lui non ha paura, non paga, ma un giorno Tonio, che è più grande e più forte, gli lega le stringhe delle scarpe, lo spinge giù dalle scale e Simone si rompe un braccio. Tonio dovrebbe essere punito, ma la maestra non può farlo perché non ha visto la scena e chi l’ha vista sta zitto per paura. Così Tonio può continuare a mettersi in tasca soldi non suoi. Il risultato è che ora ci sono due leggi: quella giusta, della maestra e del preside, l’unica che dovrebbe valere; e quella di Tonio, illegale, la legge del più forte.p. 34
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La definizione e l’etimologia di Mafia
(si legga anche approfondimento in calce all’articolo)
Avrai già sentito parlare di Mafia*
È una parola molto antica. pensa, apparve per la prima volta in un vocabolario nel 1868, con due significati: “miseria” e “prepotente”. L’autore del vocabolario spiega che la mafia è la “miseria” di chi crede che vale solo la legge del “prepotente”. E aggiunge: quell’uomo si crede tanto importante grazie alla sua forza e invece è una bestia, perchè solo tra le bestie la ragione sta dalla parte del più forte. p. 35
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Assuefazione
Tra cento anni quei soldi dati a Tonio non ti sembreranno più un’ingiustizia, ma una cosa normale. Pensaci. Abituato a farlo ogni giorno, ti sembrerebbe una cosa giusta, come dare i soldi al bidello in cambio della pizzetta all’intervallo. […] A forza di accettare l’ingiustizia, non vedrai più l’ingiustizia p. 35
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La cosca
Sai come si chiama la corona di foglie del carciofo? Cosca. Ma è un aparola che non si usa quasi più, adesso ha un altro significato: gruppo di mafiosi. Cosca o anche famiglia. Quando Giovanni tornò a lavorare a Palermo, la città era come questi carciofo: ogni quartiere, una cosca di mafiosi. p. 39
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Il rituale, e il neoadepto che brucia il santino
“Si pensa che il rituale della mafia derivi proprio da un’antica setta religiosa del medioevo”. “Come avviene il giuramento?” “Con una cerimonia. Un uomo, di solito abbastanza anziano, un uomo d’esperienza, pronuncia un discorso all’aspirante mafioso […] denuncia le ingiustizie sociali e ricorda che la cosa si preoccupa di difendere i deboli, gli orfani, le vedove[…] forse un tempo c’era davvero bisogno di associazioni che difendessero i più deboli, quando l’Italia era appena nata, ai tempi di Garibaldi, e lo Stato non aveva ancora istituzioni forti, ma oggi noi abbiamo le leggi, la polizia, i giudici […]. Gli chiedono se accetta di entrare nella cosa, lui risponde di sì, allora l’uomo d’onore chiede di pungere il dito del nuovo mafioso con na spina di arancia amara e di versare una goccia di sangue su un’immaginetta sacra. Infine bruciano la figura della santa: il nuovo mafioso deve tenerla in mano finché il fuoco si spegne e pronunciare queste parole: ‘Le mie carni debbono bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento‘.” pp: 40-42
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Giuseppe di Matteo
Si chiamava Giuseppe. Aveva qualche anno più di te. gli piacevano moltissimo i cavalli. Non aveva fatto nulla di male. Sai qual era la sua unica colpa? Essere figlio di suo padre. p. 44
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Bestie che uccidono per fame dipotere
Gli animali uccidono per fame e per istinto, mentre i cosiddetti uomini d’onore, che a differenza delle bestie possono pensare, uccidono per odio e per fame di potere. p. 46
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Omertà
L’omertà è la più grande qualità dell’uomo d’onore: nun lu sacciu, non lo so, non ho visto. Per me è vero il contrario: la più grande qualità di un uomo è aiutare la giustizia a punire i colpevoli e a liberare la gente dalla paura dei prepotenti. p. 50
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Rocco Chinnici e la scuola
Rocco andava nelle scuole di Palermo a spiegare cos’è la mafia. Raccontava ai ragazzi le cose che ti sto raccontando io. Quando la pianta è ancora piccola è più facile raddrizzarla. più cresce storta e più sarà difficile farlo dopo. Anche da piccoli si può combattere contro il mostro. Abituarsi alle prepotenze, scambiarle per leggi giuste, è già un modo di perdere la guerra. Difendere le proprie figurine è un modo per vincerla. Per questo il mostro non sopportava che rocco andasse a parlare nelle scuole. […] Quel vecchietto coraggioso che parlava ai bambini nelle scuole faceva più paura di un esercito. pp. 51-56
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Il mostro si presenta come un benefattore
La gente gli è riconoscente perché, aprendo tanti cantieri, fa lavorare tanti muratori: come un benefattore. Facci caso. Mafia è una parola femminile e inizia come mamma: suona dolce, protegge.[…] Chi dice che la mafia ha l’appoggio della gente perché dà lavoro a migliaia di persone sbaglia. È solo che la gente ha bisogno di lavorare e lavora dove può. […] Combattere il mostro vuol dire anche lasciar costruire le case a chi le fa meglio, così domani Palermo sarà più bella, e consentire ai muratori di ricevere lo stipendio da persone oneste. p. 53
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Ti sembra una vita perfetta questa? Questa è una vita da topo in trappola, e Giovanni non lo fa per diventare ricco e famoso. Lo fa per la sua città, perché un domani chi fa le case più belle sia libero di costruirle, e chi ha un negozio non abbia più paura che salti in aria. p.58
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L’amore per Francesca
Si innamora un’altra volta. Sai come si dice? Al cuor non si comanda… Puoi mettere cento guardie del corpo davanti al cuore, ma i sentimenti entrano lo stesso. L’amore è un mostro invincibile che arriva dappertutto. Ma un mostro buono. p. 59
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Mafia e politica
Ti ho già detto come i politici, quelli che governano le città e la regione, possono dare un aiuto prezioso alla mafia: decidono chi deve costruire le case, le strade, chi deve gestire un parcheggio, chi deve riscuotere le tasse… In questa partita il politico più importante di Palermo, il sindaco, sta dalla parte di Giovanni. p.66
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Buscetta e il crollo del muro dell’omertà
Quell’uomo è ormai anziano, è stanco di combattere. ha fatto scorrere tanto sangue e ora visto scorrere quello dei suoi figli e di tanti suoi parenti. Vuole vedere puniti i mostri che hanno sterminato la sua famiglia. Giovanni capisce che si può fare breccia nel cuore ferito di un uomo tanto importante. Il silenzio è sempre stato il grande muro che è protetto il mostro. Giovanni capisce che se riuscirà a far cadere quel muro per la prima volta sarà molto più facile catturare il mostro. p.70
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La mafia e il suicidio
I mafiosi considerano il suicidio come l’omertà un gesto da vero uomo, una prova di coraggio.
La lingua della mafia
Quel pentito permette alla squadra di Giovanni di capire come funziona davvero la mafia, le regole la sua organizzazione, il modo di reclutare nuovi soldati, il giuramento, tutto. Come ha detto Giovanni, Don Masino è stato come un professore di lingue che ti permette di andare dai Turchi senza parlare a gesti. Capisci? Gli insegna la lingua della mafia.
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Un mostro con tante teste
Il mostro ha tante teste, ma è un mostro solo, è questo che vuole dimostrare al processo contro la mafia. Uccidono qualcuno? mettono una bomba con una bomba in un negozio? Sparano a un giornalista? Fanno fuori un prete? Episodi di delinquenza dicono tutti, come ne succedono in ogni parte del mondo. Tutti pronti a giurare: a Palermo la mafia non esiste. Invece Giovanni vuole dimostrare che Palermo è nelle mani di un mostro solo che organizza tutte le attività illecite. Palermo è un carciofo solo e tutte le sue foglie sono collegate tra loro. p. 72
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Le condanne al maxiprocesso
“condannato… condannato… condannato…. condannato”. Una raffica di “condannato”, come li sparasse col Kalashnikov: 600 condannato al minuto. Il mostro è stato giudicato colpevole ed è stato condannato a scontare complessivamente 19 ergastoli, più 2665 anni di carcere, più un miliardo e mezzo di multa da pagare, un bel po’ di anni di prigione per ciascuna delle teste del mostro. A Palermo sembra di sognare. Non solo Giovanni ha messo il mostro in gabbia e ha dimostrato che tutta la malavita della città dipende da un’organizzazione sola, non solo ha fatto vedere che il mostro è aiutato da persone ritenute perbene, come sindaci politici, ma è riuscito anche a farlo condannare quel mostro! Stavolta gli uomini d’onore non tornano a casa per mancanza di prove, stavolta vanno dritti in prigione. p. 82
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Speranza
La vittoria di Giovanni dà molto di più, dà speranza. Per la prima volta Palermo può sperare di avere case più belle, costruite da chi se lo merita, potrà aprire negozi, senza la paura che saltino in aria, potrà avere un mare pulito, senza cadaveri sul fondo. Potrà vivere senza la mafia, con una legge sola, una legge giusta, che vale per tutti. p.83
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La vendetta delle calunnie
Il mostro prepara la sua vendetta, che non è fatta solo di bombe, ma anche di calunnie, accuse anonime, sospetti. Le parole possono ferire più dei proiettili e se ne possono sparare anche più di 600 al minuto. La lingua non va ricaricata, è anche meglio di un Kalashnikov.
Dopo il grande processo, si comincia a dire che Giovanni si esalta troppo, che si dà arie da fenomeno, che gioca a fare il grande sceriffo, che ha messo in scena il processone solo per protagonismo, che pensa solo alla carriera e va al Maurizio Costanzo show come un divo del cinema.
La mafia è ben contenta che questi discorsi circolino perché vuole isolare Giovanni, cerca di togliergli i consensi e gli appoggi, non vuole che la gente lo guardi come un eroe da aiutare. p.86
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Da lontano si prende meglio la mira
Pensa a un arco, per scagliare la freccia devi tirare indietro la mano che tiene la corda, giusto? Più allontani quella mano dal bersaglio più la freccia andrà lontano. Spesso da lontano si vedono meglio le cose e si prende meglio la mira.
A Roma Giovanni può fare ciò che non gli lasciavano più fare a Palermo e poi allontanandosi da Palermo Giovanni può finalmente tornare a vivere come uomo anche se scortato e con mille precauzioni. p.94
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La bellezza, L’attentatuni e la collina del maiale.
Ogni volta che penso a quel momento mi viene in mente lo stesso pensiero. Puntò il dito verso la collina. Da quell’altezza si vede un panorama magnifico: il nostro mare, l’isola delle Femmine, il Golfo… Non c’è al mondo uno scenario più bello.
Come fanno a venirti in mente pensieri cattivi davanti a tanta bellezza?
Come puoi avere il coraggio di impedire a un altro uomo di vedere quello spettacolo per sempre?
Come avrà fatto quell’uomo a spingere la levetta?
Forse ha chiuso gli occhi. Ma una bestia che avrà il coraggio di sciogliere nell’acido un bambino con cui ha mangiato insieme per settecentosettantanove giorni non ha di questi problemi. p.105
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Quell’uomo era morto anche per me, per difendere i miei negozi, la mia casa, la mia città. Per lottare contro il mostro al posto aveva rinunciato ad avere un figlio, cioè alla gioia più grande che si possa provare sulla terra. Nessuno meglio di me quel sabato di maggio poteva capire i suoi sacrifici. p. 108
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Un uomo normale
Un giorno mi telefonò da Roma e mi disse: “Indovina dove sono? In un supermercato!” Non l’avevo mai sentito così felice. Per lui la felicità era poter andare a fare la spesa al supermercato, riuscire finalmente a vivere una vita normale come tutti gli altri, dopo gli anni passati a Palermo, blindato in casa o in ufficio. Giovanni non era un supereroe, era un uomo normale che cercava soltanto di vivere da uomo normale.
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Appendice
Mafia sul vocabolario di Antonio Traina 1868
*Il primo vocabolario del dialetto siciliano che attesta la parola mafia è il“Nuovo Vocabolario Siciliano-Italiano” di Antonino Traina, edito nel 1868, che così ne da la seguente etimologia e definizione: “Neologismo per indicare azioni, parole o altro di chi vuol fare il bravo: sbraceria, braveria // Sicurtà d’animo, apparente ardire: baldanza // Atto o detto di persona che vuol mostrare più di quel che è: pottata// Insolenza, arroganza: tracotanza// Alterigia, fasto: spocchia// Nome collettivo di tutti i mafiosi (smaferi si chiamano in Toscana gli sgherri; e maffia dicon alla miseria, e miseria vera è credersi grand’uomo per la sola forza bruta! Ciò che mostra invece gran brutalità, cioè l’essere grande bestia!)”. Per un approfondimento cfr. anche https://www.grammichele.eu/14832/nel-ricordo-dei-caduti-di-capaci-23-maggio-1992/
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