Una delle poesie che mi piace rileggere più spesso, perché mi ricorda della promessa di bene sottesa ad ogni istante, anche il più difficile, è “Amo l’inverno”, opera di Coventry Kersey Dighton Patmore, scritta sul finire dell’800.
C’è, in questa poesia, l’amore per le cose semplici, che non tutti sanno apprezzare, delle Myricae, le tamerici di Pascoli.
Ma c’è molto di più: l’amore per ciò che non è spesso amato ma possiede un’amabilità. Non serve solo la promessa di “altro” che verrà, per amare il presente. L'”altro” è già adesso, si può anche amare in sé il grigio e il freddo, e la rudezza degli elementi. L’inverno e i suoi sorrisi sono avvolti da qualcosa che, cara e chiara come l’etere, ispira riposo, speranza e attesa. Ma già l’inverno è pieno di vita. Coventry Patmorelo coglie e lo dipinge realisticamente: nella linfa delle piante, nella presenza degli uccelli e delle crisalidi, nello schierarsi dei gigli e nelle gioie dell’infanzia.

Coventry Kersey Dighton Patmore – Amo l’inverno
Io, singolarmente sospinto ad amare le cose amabili ma non amate, di tutte le stagioni amo soprattutto l'inverno; E rintracciare il pallore d'avorio sul suo viso che non è morte ma pienezza di pace
Un’anima sensibile
“Io, singolarmente sospinto ad amare / le cose amabili ma non amate,”
è un’affermazione forte che introduce una sensibilità particolare del poeta. Patmore si autodefinisce come qualcuno che è attratto da ciò che gli altri potrebbero considerare poco attraente o addirittura repellente. Questa predisposizione lo porta ad apprezzare la bellezza nascosta, l’eleganza discreta e la poesia dell’ordinario.
L’amore per l’inverno
“di tutte le stagioni / amo soprattutto l’inverno;”
qui, Patmore dichiara apertamente la sua preferenza per una stagione spesso considerata triste e desolata. Questa scelta non è arbitraria, ma è motivata da una ricerca profonda di bellezza e di significati più sottili.
La bellezza della pace
“E rintracciare il pallore d’avorio / sul suo viso / che non è morte / ma pienezza di pace”
è un verso particolarmente suggestivo. Il “pallore d’avorio” del viso dell’inverno viene paragonato non alla morte, ma ad una “pienezza di pace”. È un’immagine potente che capovolge le nostre aspettative: l’inverno, invece di essere associato alla fine, diventa simbolo di una quiete profonda e serena.
E quella fosca nube che avvolge il mondo
e men somiglia a gelo o a tenebra
che a calore ed a luce addormentati,
ed all'unisono sembra respirare
con il raccolto che, bambino,
lievemente sotto il piumino
di neve respira.
Non v'è cosa nei campi o nei giardini
che non contenga, a guardarla, serena
la sostanza di cose che si sperano
in primavera, e la testimonianza
dell'estate invisibile ...
Un abbraccio nebbioso
“E quella fosca nube che avvolge il mondo / e men somiglia a gelo o a tenebra / che a calore ed a luce addormentati,”
è una descrizione affascinante della nebbia invernale. Patmore non la rappresenta come un elemento negativo, ma come una sorta di coperta che avvolge il mondo in un abbraccio morbido e protettivo. La nebbia non è vista come gelo o tenebra, ma come calore e luce in uno stato di quiete, quasi addormentati.
Il respiro della natura
“ed all’unisono sembra respirare / con il raccolto che, bambino, / lievemente sotto il piumino / di neve respira.”
Qui si crea un parallelismo tra la nebbia e il raccolto coperto dalla neve. Entrambi sembrano respirare in un ritmo lento e profondo, come esseri viventi in uno stato di riposo. L’immagine del raccolto “bambino” sotto il piumino di neve trasmette un senso di tenerezza e vulnerabilità, ma anche di speranza.
La promessa della primavera
“Non v’è cosa nei campi o nei giardini / che non contenga, a guardarla, serena / la sostanza di cose che si sperano / in primavera, e la testimonianza / dell’estate invisibile …”
In questi versi, Patmore afferma che anche in inverno, sotto la apparente morte della natura, c’è la promessa della vita futura. Ogni cosa, dai campi ai giardini, contiene in sé i germogli della primavera e dell’estate. È come se la natura, anche nel suo stato di quiescenza, fosse già in attesa di rinascere.
In ogni giornata mite
che visita con scialle nebbioso
Il caprifoglio, nella brama ardente
della dolcezza deIla vita, sdegna
gli ostacoli del gelo e del nevischio,
sfugge alla legge del tempo,
e gemmare fa, nel silenzio,
ora una foglia nuova,
ora un piccolo ramo vagabondo;
spesso, protetta tra le macchie, come
chi è distolto dal sonno alla prim'ora,
la primula o la mammola, smarrita,
si sveglia e crede che
sia tempo ormai di rifiorire.
Pur non sentendo neppure un sussurro
della sua voce, il bulbo sepolto conosce
I segnali del tempo e saluta
l'estate lontana con la sua lancia alzata.
L'oscuro campo di ginestre,
d'improvviso, capriccio dorato,
si trasforma, qua e là,
in un vello di Giasone;
La tenacia della vita
In ogni giornata mite che visita con scialle nebbioso Il caprifoglio, nella brama ardente della dolcezza deIla vita, sdegna gli ostacoli del gelo e del nevischio,
In questi versi, Patmore celebra la tenacia della vita che si manifesta anche nelle condizioni più avverse. Il caprifoglio, simbolo di fragilità e bellezza, sfida il freddo e la neve, dimostrando una forza vitale inarrestabile. La sua “brama ardente” per la vita lo spinge a superare gli ostacoli e a cercare la luce.
Sfuggire al tempo
sfugge alla legge del tempo, e gemmare fa, nel silenzio, ora una foglia nuova, ora un piccolo ramo vagabondo;
Il caprifoglio, nella sua crescita ininterrotta, sembra sfidare il tempo stesso. La natura, con la sua capacità di rinnovarsi continuamente, ci ricorda che la vita non è vincolata ai ritmi imposti dal tempo. La nascita di una nuova foglia o di un nuovo ramo è un simbolo di speranza e di rinascita.
La speranza sotto la neve
spesso, protetta tra le macchie, come chi è distolto dal sonno alla prim’ora, la primula o la mammola, smarrita, si sveglia e crede che sia tempo ormai di rifiorire.
Anche la primula e la mammola, nascoste sotto la neve, dimostrano una sorprendente vitalità. Svegliandosi dal loro letargo invernale, credono di essere già in primavera. Questa immagine sottolinea la forza della speranza e la capacità della natura di sorprenderci.
I segnali della natura
Pur non sentendo neppure un sussurro della sua voce, il bulbo sepolto conosce I segnali del tempo e saluta l’estate lontana con la sua lancia alzata.
Il bulbo, pur essendo sepolto nel terreno, è in grado di percepire i cambiamenti delle stagioni e di rispondere ad essi. Questa immagine ci ricorda la profonda connessione che esiste tra gli esseri viventi e il mondo naturale. Il bulbo, con la sua “lancia alzata”, sembra già anticipare la bellezza dell’estate.
H3: La trasformazione improvvisa
L’oscuro campo di ginestre, d’improvviso, capriccio dorato, si trasforma, qua e là, in un vello di Giasone;
La trasformazione improvvisa del campo di ginestre in un “vello di Giasone” è un’immagine potente che evoca la magia della natura. Questo cambiamento inatteso ci ricorda che la bellezza può nascere anche dalle situazioni più inaspettate.
I Gigli, che all'inizio dell'autunno
sfilate hanno le loro verdi vesti,
che son svanite appena nella terra,
ritornano alla nascita
già prima che l'autunno stesso muoia,
e in mezzo allo schizzo ondulato,
sta già prontamente schierato
perfetto per l'estate, il fiore mancante
In un angolo o nella fessura
di una corteccia grezza,
non puoi non notare,
se spii da vicino,
la crisalide spettrale,
che, se lo tocchi,
si agita nel suo sogno oscuro;
E il Pettirosso arrossito,
nella brina della sera,
dedica al giorno dell'amore,
come se lo vedesse, un canto;
Ma ancora più dolci del sogno
o del canto dell'estate
o della primavera
sono gli occasionali,
sorrisi dell'inverno
che sembrano venire
dall'infanzia ineffabile;
e il suo sguardo errante e languido,
così poco familiare,
così privo di stupore
sulle gelide avversità elementali,
e l'inafferrabile rudezza
e il suo sospiro
e il raccogliere lacrime solenni,
e lo sguardo di esilio
da qualche grande riposo,
e la sfera di etere,
mossa dall'etere solo,
o da qualche altra cosa
di ancora più tranquillo.
I Love Winter – Coventry Patmore – Amo l’inverno – testo originale

Come affermo spesso, poiché tradurre è un po’ tradire, non posso non riportare l’originale.
I, singularly moved
To love the lovely that are not beloved,
Of all the Seasons, most
Love Winter, and to trace
The sense of the Trophonian pallor on her face.
It is not death, but plenitude of peace;Hath less the characters of dark and cold
Than warmth and light asleep,
And correspondent breathing seems to keep
With the infant harvest, breathing soft below
Its eider coverlet of snow.
Nor is in field or garden anything
But, duly look’d into, contains serene
The substance of things hoped for, in the Spring,
And evidence of Summer not yet seen.
On every chance-mild day
That visits the moist shaw,
The honeysuckle, ‘sdaining to be crost
In urgence of sweet life by sleet or frost,
‘Voids the time’s law
With still increase
Of leaflet new, and little, wandering spray;
Often, in sheltering brakes,
As one from rest disturb’d in the first hour,
Primrose or violet bewilder’d wakes,
And deems ‘tis time to flower;
Though not a whisper of her voice he hear,
The buried bulb does know
The signals of the year.
And hails far Summer with his lifted spear.
The gorse-field dark, by sudden, gold caprice,
Turns, here and there, into a Jason’s fleece;
Lilies, that soon in Autumn slipp’d their gowns of green,
And vanish’d into earth,
And came again, ere Autumn died, to birth,
Stand full-array’d, amidst the wavering shower,
And perfect for the Summer, less the flower;
In nook of pale or crevice of crude bark,
Thou canst not miss,
If close thou spy, to mark
The ghostly chrysalis,
That, if thou touch it, stirs in its dream dark;
And the flush’d Robin, in the evenings hoar,
Does of Love’s Day, as if he saw it, sing;
But sweeter yet than dream or song of Summer or Spring
Are Winter’s sometime smiles, that seem to well
From infancy ineffable;Her wandering, languorous gaze,
So unfamiliar, so without amaze,
On the elemental, chill adversity,
The uncomprehended rudeness;and her sigh
And solemn, gathering tear,
And look of exile from some great repose, the sphere
Of ether, moved by ether only, or
By something still more tranquil.
And the dim cloud that does the world enfold
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